Capitolo 1
“Ahh pene d’amore!!”
Nel sentire quella frase Rhot si voltò
di colpo. Si trovava in prigione da due giorni ma i suoi occhi non si erano mai
scostati dalla finestra. Ora che osservava la stanza era molto spaziosa
e...vuota. La cella era situata nel piano seminterrato del vecchio posto di
guardia. Veniva utilizzata raramente e solo per reati minori, o per ospitare
prigionieri di passaggio che venivano poi destinati a strutture più
appropriate. Il villaggio era cambiato enormemente negli ultimi tempi, quello
che un tempo era stato un tranquillo borgo della costa sud ora si era
trasformato in un affollato porto con un imponente mercato, dove venivano
scambiate merci di ogni tipo. Il commercio, che prima si svolgeva
prevalentemente nelle ricche terre del nord, a causa della guerra si era via
via spostato fino a raggiungere anche le assolate coste di Raschkord. Con
l’aumentare degli scambi commerciali però era aumentata anche la criminalità,
rendendo necessaria la costruzione d’edifici di detenzione più efficaci e
sicuri.
Gli occhi, feriti dalla luce di una
calda e soleggiata mattina d’estate, impiegarono del tempo per mettere a fuoco
i dettagli. Alla sua destra una porta scura ed imponente bloccava l’accesso,
c’erano due feritoie: una in alto che permetteva alle guardie di controllare
l’interno e una in basso per far entrare il cibo. Sul pavimento abbandonate
vicino all’entrata c’erano tre ciotole con del cibo, suppose fossero per lui,
ma ovviamente in quel momento il cibo era l’ultimo dei suoi pensieri. Dovevano
pensarla in modo diverso quattro o cinque mosche che trovavano tutto di loro
gradimento. Rhot fece una smorfia di disgusto ma rise di se; non erano da lui
certi comportamenti altezzosi, se le mosche avevano fame che si sfamassero
pure. Sulla parete opposta alla porta appese al muro c’erano delle grosse
catene, evidentemente non tutti i detenuti dovevano essere docili. I grossi
mattoni che componevano l’edificio erano ricoperti di muffa e in alcuni punti
filtrava dell’acqua, il tintinnio delle gocce che cadevano a terra sembravano
scandire il tempo, un lungo e interminabile tempo. Il fondo del locale di
fronte a lui non era ben illuminato ma poteva con estrema certezza affermare di
essere solo. Allora chi aveva parlato.
Guardò ancora a destra e a sinistra, si
diede un paio di colpi ad un orecchio e poi all’altro come per far tornare al
loro posto le idee, strizzò con forza gli occhi con i pugni e sospirò.
“Forse le mie sorelle hanno ragione,
sono tutto matto!”
Lo disse ad alta voce cercando di
riempire il silenzio che pesava su di lui, si sedette di nuovo alla finestra,
sconsolato all’idea di aver perso definitivamente la ragione.
Erano passati pochi minuti e il suo
stato d’animo continuava a passare da allerta, la voce lui l’aveva sentita, a
sconforto, era in carcere e come se non bastasse stava impazzendo.
Una fragorosa risata gli cadde addosso
come un secchio d’acqua gelata. Rhot saltò in piedi come se il demonio gli si
fosse parato davanti, il cuore rischiava di uscirgli dal petto e le gambe quasi
non lo reggevano più.
“Sei così assorto dai tuoi pensieri che
in due giorni non ti sei mai accorto di me!”
Il ragazzo socchiuse gli occhi, ancora
nulla.
“Più a destra...ancora...più
su...su...ci sei quasi....Mi vedi ora?”
Non poteva credere ai suoi occhi. In un
angolo della cella appesa al soffitto si trovava una piccola gabbia e al suo
interno la creatura più bizzarra che avesse mai visto.
“Il mio nome è Arkot, per servirla mio
signore!”
Nella gabbia lo strano esserino si
profuse in un bizzarro inchino per poi scoppiare a ridere fino alle lacrime.
“Non ti trovo affatto divertente.”
Sibilò Rhot, ma i suoi occhi svelavano una certa curiosità.
Il suo compagno di cella si ricompose e
cercò di ritrovare un certo contegno, inutile dire che il tentativo fallì
miseramente, iniziò a ridere nuovamente aggrappandosi alle sbarre della sua
"cella privata”.
“Insomma mi vuoi dire chi sei o meglio
Cosa sei?”
“Si, si ooohhh si hai ragione, sono un
vero maleducato, insomma ridere così senza nessuna vergogna, un vero villano!
Ahahhaa scusa, scusa ora la smetto! Come ti ho già detto il mio nome è Arkot e
tu sei.....”
“Io mi chiamo Rhot.”
“Oh si certo il fattorino, ho sentito
parlare di te”
“Come sarebbe a dire, chi ti ha parlato
di me?”
“Le ninfe, sai sono delle gran
chiacchierone! E tu... non passi certo inosservato; pur non conoscendoti di
persona posso affermare con estrema certezza che tutta questa cittadina ti
conosce fin troppo bene.”
Rhot, che fino a quel momento aveva
cercato di mantenere un atteggiamento fermo e fiero arrossì violentemente. Non
aveva idea che le sue imprese lo avessero reso tanto famoso.
“Su dai non ti vergognare ci vuole
qualcuno a tenere vivo questo posto, tutti troppo impegnati a pensare al
commercio e alle guerre, non sai le risate che mi faccio quando mi raccontano
le tue marachelle!”
Il ragazzo lasciò cadere verso il
pavimento le braccia e spalancò la bocca.
“Questo intendevi quando palavi delle
mie imprese!!” Cercò di sembrare indignato ma la bocca non voleva saperne di
richiudersi.
“Ahahahha e cosa credevi, certo non sei
un condottiero!”
“Un giorno lo potrei diventare! Cosa
credi ci sto lavorando....”
Incrociò le braccia davanti a lui e alzò
il mento, con la coda dell’occhio vide che il suo piccolo nuovo amico sorrideva
appoggiato alla gabbia.
“Tu sai tutto di me ma non mi hai ancora
detto nulla che ti riguardi.”. Cercò di cambiare discorso in modo da evitare di
approfondire il discorso che riguardava i guai che ogni giorno provocava in
città e Arkot decise di non infierire ulteriormente.
“Già hai ragione. Il nome te l’ho detto?
Si si quello si. Dunque, vengo dall’antica foresta di Naskarat e come puoi ben
vedere sono un bombomo!”
Rhot cercò di trattenere le risate più
che poté ma il suo tentativo fallì del tutto.
“Un “bombomo” ma che nome è!!Ahahahah”
“Insomma non sono certo io che scelgo i
nomi.”. Cercò di difendersi “E’ il nome della mia stirpe che ti piaccia o no.
Sappi che non è molto carino da parte tua!”
“Scusami
hai ragione, non volevo offenderti, ma devi ammettere che è un nome
buffo.”.
Cercò di avvicinarsi per vedere meglio
all’interno della gabbia. Quello che riuscì a scorgere al suo interno, lo
lasciò senza fiato, di certo non aveva mai osservato una creatura così
incredibile. Il piccolo individuo che
divideva la prigionia con, lui era, infatti, per metà uomo mentre l’altra metà
mostrava le caratteristiche di una grossa ape. Sulla testa spuntavano due
minuscole antenne nere, i capelli scendevano lunghi sulle spalle per poi
richiudersi sotto il collo come una specie di criniera, alla base della testa
erano nerissimi mentre verso il collo diventavano di un bel colore dorato. Gli
occhi avevano la pupilla completamente nera e lucida. Indossava una specie di
bardatura sulle spalle con delle cinghie di pelle che si incrociavano sul
torace nudo. Ma la cosa più sorprendente era che al di sotto della vita il
corpo diventava quello di un’ape con un grosso addome ricoperto di peluria a
strisce nere e gialle. Il tutto sorretto da quattro zampe esili ma dall’aspetto
forte. Sulla schiena poi spuntavano due bellissime ali color dell’ambra.
“Incredibile!”
“Si, effettivamente me lo dicono tutti!”
Arkot cercò di darsi un tono e fece un grosso sorriso. “Non capita spesso di
incontrare una tra le più rare creature dell’antica foresta di Naskarat!”
“Bhè a me non di certo!” Esclamò Rhot. “
Ma cosa ci fa una creatura come te in un posto simile?”
“Sicuramente un errore, nulla di grave in ogni caso, ma raccontami di
te sono sicuro che la tua storia è più interessante della mia.”.
Rhot improvvisamente fu scosso come da
un lungo sonno. Dalla strada che passava vicino alla finestra della prigione,
giungeva un insolito baccano. Corse a vedere come se ciò che stava accadendo
fosse di vitale importanza.
“Ecco ci risiamo, ora tornerà alla sua
finestra e si dimenticherà di nuovo di me!” Arkot fece un gesto di teatrale
disperazione lasciandosi cadere sul fondo della gabbia.
“Insomma mi vuoi dire perché sei qui, ma
soprattutto cosa c’è di così importante oltre quelle sbarre?”
Rhot distolse lo sguardo deluso, fuori
un gatto aveva cercato di rubare un grosso pesce in un banco del mercato
mattutino, creando un grande scompiglio. Non era certo quello che sperava di
vedere.
“Sono due giorni che sei qui e non lasci
mai la finestra, non dormi, non mangi, ti ammalerai se continui così, non sei
certo un colosso per permetterti certi digiuni! Dai cosa avrai mai combinato?”
Il ragazzo si voltò e un sorriso
beffardo gli si dipinse in volto.
“Ma tu non sapevi tutto di me!”
“Ehi quelle impiccione delle ninfe mica
mi possono venire a raccontare i tuoi affari qui dentro!”
“Diciamo solo che Chordon mi ha trovato
un po’ maleducato.”.
“il Capo Supremo della Guardia?! Quel
grossissimo pallone gonfiato! E che gli avrai mai fatto? Hai dimenticato di
fargli una doppia riverenza al suo passaggio?”
“In verità sostiene che sono stato
maleducato con la figlia, ma a me non sembrava che a lei dispiacesse!” Fece un
sorriso sornione e rivolse di nuovo la sua attenzione all’esterno.
“Brutto mascalzone! Ahahaha appena lo
racconterò alle ninfe... dunque è per lei che ti struggi a quella finestra!”
“No” Lo sguardo di Rhot si fece di nuovo
cupo.
“Su racconta...”
Rhot sospirò nuovamente, si scostò dalla
finestra per raggiungere i pressi della gabbia.
“E’ successo tutto un paio di giorni fa.
Come ti ho già accennato ero con Lussilla la figlia di Chordon, non so se l’hai
notato ma è molto carina!! Al contrario del padre. Comunque, stavamo
passeggiando insieme e il comandante ci ha visti, certo un semplice fattorino come
me non si dovrebbe permettere nemmeno di sbirciare il viso della sua
figlioletta adorata. Fatto sta che ha cominciato ad urlare come un ossesso e ad
inseguirmi. Io da parte mia sono il genio della fuga specie tra la folla del
mercato ed è allora che mi è successa una cosa incredibile. Mi trovavo nei
pressi del tribunale, ero riuscito a nascondermi in un vicolo poco in vista.
Camminavo velocemente guardandomi alle spalle, non mi aspettavo certo di
incontrare qualcuno in un vicolo così appartato. Certo non ero attento a quello
che mi capitava di fronte e, infatti, sono andato a sbattere contro qualcuno e
il colpo mi ha sbattuto a terra, mentre cercavo di rialzarmi pensai che si
dovesse trattare di un gigante, poiché mi era sembrato di scontrarmi con un muro, e con mia sorpresa mi ritrovai davanti una
ragazzina bizzarra!”
“Ti sei fatto stendere da una ragazza
ahahaha!” Il bombomo era divertito e incuriosito dalla piega che stava
prendendo la storia del suo giovane amico.
“Aspetta a ridere, fammi finire.” Arkot
tornò serio e sedette ad ascoltare.
"Cercai di rialzarmi in tutti i
modi ma non ci riuscivo. Sentivo una strana forza che mi teneva schiacciato a
terra. Ad un certo punto mi arresi e fu allora che mi soffermai ad osservare la
persona che mi stava di fronte. Credo avesse circa la mia età, intorno ai
quindici anni insomma. Indossava un vestito bizzarro; la gonna sfiorava il
terreno ed era di un bel colore amaranto con dei fiori stilizzati di colore
nero che sembravano sfumarsi man mano che salivano verso la vita. Un lungo
pastrano nero che mi ricordava quello dei pirati, si stringeva sulla vita
sottile. In testa indossava un enorme cappello a cilindro con una fascia dello
stesso colore della gonna. Aveva lunghissimi capelli color argento, proprio
come i miei, e arrivavano a sfiorarle il fondo della schiena. Il viso
bellissimo con una carnagione chiara e luminosa. Infine sulla fronte aveva uno
strano simbolo.”.
"Simbolo? " Arkot sembrava
perplesso.
"Un cerchio con un disegno al
centro il tutto di colore blu scuro."
"Un Mago Supremo!" Bisbigliò
Arkot, poi continuò a bisbigliare tra se e se come se Rhot non fosse più lì.
"Ma è troppo giovane e poi... una ragazza, non si era mai vista una cosa
del genere, ma non ci sono dubbi, il simbolo, i vestiti..."
"Mago Supremo? Insomma mi vuoi
spiegare?!" Rhot era confuso.
"Poi che è successo?" Fece
roteare la mano per fargli segno di continuare.
"Insomma mi vuoi spiegare..."
Il ragazzo cercò in tutti i modi di sapere qualcosa in più ma il bombomo
insisteva per sentire la conclusione della storia. "D'accordo ora continuo
ma tu mi devi delle spiegazioni! Dunque, dov'ero rimasto? Ero a terra e mi
volevo rialzare, ma non c'era nulla da fare. Ad un certo punto questa strana
ragazza ha allungato le braccia verso di me, molto lentamente, ha voltato il
palmo delle mani verso il cielo facendo materializzare una sfera di luce ed
energia, poi l'ha scagliata verso di me. A quel punto ero terrorizzato, pensavo
volesse uccidermi, invece ho sentito solo un gran calore e quella strana luce era
tutta intorno a me, ma non succedeva niente. Ad un tratto la luce è scomparsa
mi sentivo stanco come se avessi fatto un enorme sforzo, i muscoli indolenziti
e le gambe che tremavano. E' stato allora che lei ha sorriso, ma non cera nulla
di dolce nel suo viso, sembrava più un ghigno di soddisfazione e ha mormorato
qualcosa, mi è sembrato dicesse .... Occhi di drago"
Arkot impallidì con violenza, sembrava
stesse per perdere i sensi, fece cenno al ragazzo di continuare e Rhot capì che
non era ancora il momento di chiedere spiegazioni.
"A quel punto sono riuscito ad
alzarmi. Lei si era voltata e stava per andarsene, così l'ho afferrata per un
braccio per fermarla. Avresti dovuto vedere i suoi occhi, da vicino si notavano
delle piccole pagliuzze dorate e l'iride era di un colore caldo come il fuoco,
eppure il suo sguardo mi ha gelato il sangue. Ho preso coraggio, volevo sapere
chi fosse, e le ho chiesto il nome." Rhot tornò lentamente verso la piccola finestra e strinse con forza le
sbarre, l'apertura si affacciava a livello della strada, un gruppo di bambini correva ridendo
lì vicino, li guardò allontanarsi velocemente facendo svolazzare le lunghe
gonne delle donne che ogni mattina affollavano il mercato. Si appoggiò con la
schiena al muro e si lasciò scivolare lentamente verso il pavimento. "Ha
detto che un giorno lo scoprirò e allora non lo potrò più dimenticare. Con uno
strattone ha liberato il braccio dalla mia stretta e se n’è andata senza più
voltarsi." Abbassò gli occhi verso il pavimento e cominciò a giocherellare
con la stoffa leggera dei suoi pantaloni.
"Ed è allora che hai capito
d’esserti innamorato!" Il viso del ragazzo arrossì, a quanto pare Arkot
aveva colto nel segno.
"Non so nemmeno chi sia, e poi mi
ha trattato così male, chissà che razza di magia mi ha fatto. Piuttosto ho
notato che mentre ti raccontavo la mia storia hai avuto delle strane reazioni,
mi vuoi spiegare?!" Rhot sperava che il suo nuovo amico potesse dirgli
qualcosa di più riguardo quello che gli era successo.
Dalla sua piccola gabbia Arkot si stava
strofinando la testa meditabonda. "Di sicuro ti potrei aiutare a scoprire
qualcosa ma non ti posso garantire nulla e in ogni modo non qui e ora, dammi
del tempo, appena sarò fuori mi darò da
fare per avere delle informazioni."
"Io oggi dovrei uscire, ma non ti
preoccupare da questo villaggio di sicuro non scappo, e sono sicuro che tu
saprai come trovarmi siccome mi conosci così bene!"
I due rimasero in silenzio per il resto
del tempo in cui condivisero la cella. Nelle prime ore del pomeriggio giunse
una guardia per far uscire il ragazzo, il carceriere era un omone grosso e
dall'aspetto non molto intelligente.
"Il comandante si augura che tu ti
sia schiarito per bene le idee!" Rhot lo guardò con indifferenza. Sulla
porta della cella si voltò verso Arkot e cercò il suo sguardo "Ci
rivedremo?" Lo chiese con poca convinzione pensando che lo strano esserino
sarebbe scomparso dalla sua vita con la stessa velocità con cui vi era entrato.
Arkot sollevò lo sguardo fiero, sorrise e gli fece un leggero cenno con il
capo.
La porta della cella si chiuse con
violenza. Il prigioniero rimasto solo nella stanza voltò lo sguardo verso la
finestrella e intravide il suo ex inquilino allontanarsi lentamente verso la
strada principale. Socchiuse gli occhi e un ghigno gli si dipinse in volto
"Oh si! Ci rivedremo molto presto mio piccolo amico!".
Rhot si avviò lungo la strada principale
senza una meta ben precisa, di tornare a casa nemmeno a parlarne, sicuramente
le sue sorelle erano infuriate, meglio prendere un po’ di tempo.
“In guardia! Avanzo di galera!”
Rhot guardò a terra scuotendo la testa
“Kaio amico mio!”. L’enfasi che mise in quella frase fece sorridere entrambi.
Kaio era davvero suo amico e lo era da prima che potesse ricordare. Avevano
riso e pianto assieme, avevano giocato e lottato. Ogni volta che aveva voltato
lo sguardo lui era lì a sostenerlo, da sempre lo aveva protetto e difeso. A
volte Rhot si era sentito a disagio per la sua incapacità di affrontare
determinate situazioni, ma non era mai stato deriso per questo. Alzò lo sguardo
e si voltò Kaio era lì, l’aveva aspettato fuori dalla prigione. Lo guardò
piegando la testa, lo scrutò con attenzione dalla testa ai piedi, come se
fossero passati anni dall’ultima volta che si erano visti. Kaio sorrise. Era
incredibile quanto cresceva rapidamente, avevano entrambi quindici anni, ma
Kaio sembrava già più grande. Erano in quell’età dove si diventa grandi in
fretta e lui con la sua straordinaria altezza, la pelle brunita dal cocente
sole del sud, i capelli corti corvini e le fattezze da guerriero, plasmate da
interminabili ore di allenamento lo avevano reso imponente. Al contrario Rhot
era mingherlino e costantemente pallido, sembrava che il sole non potesse in
nessun modo scalfirlo. Aveva lunghi capelli color argento che andavano a
sfiorargli le spalle, era un colore di capelli insolito per quelle terre,
infatti, non passava mai inosservato. La diversità fisica che lo
contraddistingueva in passato gli aveva creato non pochi problemi, a volte i
bambini sapevano essere veramente
crudeli, ma poi infondo c’era sempre il suo amico con lui, e nessuno aveva mai
il coraggio di contraddire Kaio.
“Dovremmo lavorare un pò sulla tua
immagine, non trovi?” Sembrava che Kaio avesse letto i suoi pensieri.
“Lo sai benissimo che non mi piace
combattere! Per me è già dura fingere di amare le battaglie quando sono con tuo
padre, credimi non ce la farei a sopportare anche te con questa mania della
guerra, la spada, le battaglie, i nemici da sconfiggere.” Agitò la mano con non
curanza. “Non fa proprio per me!”.
Kaio rise divertito, si avvicinò e mise
un braccio intorno alla spalla all’amico. Fu allora che Rhot si accorse di una
brutta ferita sulla fronte di Kaio.
“Cosa ti è successo alla fronte?” Chiese
preoccupato.
“Impazzava la battaglia, i nemici ormai
mi avevano accerchiato, io non trovavo modo per fuggire così li ho affrontati
tutti. Saranno stati quindici guerrieri delle armate demoniache. E’ stata una
dura battaglia ma non sono stato sopraffatto.”
Rhot si era fermato alcuni passi
indietro, il viso si era rabbuiato. “ E’ stato di nuovo tuo padre vero?”
Kaio si voltò con il viso allegro come
sempre, cercò di abbozzare una scusa, ma capì che non era il caso. La sua
espressione si fece dolce, si strinse nelle spalle.
“Non è cattivo, vuole solo farmi
diventare un bravo guerriero. Ha semplicemente paura di perdermi in battaglia
perché non mi ha addestrato a dovere.”
“La
guerra è lontana, non dovrai combattere come tuo padre.”
“Oggi è lontana, solo oggi. Ho sentito
parlare un generale amico di mio padre, a
nord ormai c’è solo distruzione, la guerra è dura e non la possiamo
fermare solo con la speranza. Come se non bastasse inoltre sembra che si siano
scomodati anche i Maghi Supremi, a quanto pare la loro associazione non è più
così compatta, sembra che alcuni membri si siano uniti alle armate demoniache.”
Mentre parlava, con lo sguardo perso verso l'orizzonte, sembrava già un uomo.
Rhot al contrario era spaesato. “Maghi
Supremi?”
Kaio si portò entrambe le mani al viso
con aria disperata “Perché non sai mai nulla! Possibile che tu viva solo nel
tuo mondo? Maghi Supremi, Draghi, Tigri non ti dice proprio nulla?”
Rhot aveva sentito un brivido quando
l’amico aveva pronunciato le parole “Mago Supremo” ma non voleva ancora svelare
il suo misterioso incontro, non gli aveva mai nascosto nulla e adesso si
sentiva un po’ in imbarazzo. Alzò le mani in segno di arresa e sorrise.
“Non ci sono proprio speranze con te!”
Sentenziò Kaio.
“Già, non ci saranno più speranze per me
appena rientrerò dalle mie sorelle!” Si voltò ridendo e corse via tra i banchi
del mercato.
Effettivamente non voleva tornare a
casa, Rhot viveva solo con le sorelle, tre gemelle identiche, non aveva mai
conosciuto i genitori, erano morti in un incidente quando ancora era molto
piccolo, ma le sorelle non ne parlavano volentieri e quindi non sapeva
esattamente come era andata. In compenso sapeva benissimo cosa lo attendeva al
suo ritorno, una bella ramanzina e molto lavoro extra, decise di prendersi del
tempo.
Era ormai giunto alla periferia della
città quando con forza inaudita si sentì trascinare per un braccio all’interno
di un vicolo. Venne sbattuto contro il muro per poi finire a sedere su delle
casse di legno vuote, nell’impatto una si ruppe ferendolo ad un polso.
“Hei così mi ammazzi!” Non riuscì a
finire la frase che subito fu rialzato di peso, i suoi piedi sfioravano appena
il terreno, ma fu rimesso subito a terra, questa volta con più delicatezza.
“Sei sparito per tre giorni, cosa ti
aspettavi, le tue sorelle sono spaventate a morte. Quando metterai un po’ di
sale in quella zucca vuota che ti ritrovi?”
“Questa volta non è colpa mia!” Cercò di
giustificarsi Rhot. “E poi cosa avrò mai fatto di così terribile. Tu non sei
mio padre e non puoi decidere della mia vita.”
L’uomo che aveva di fronte lo
sovrastava, aveva lo sguardo duro e il suo respiro attraverso i folti baffi era
affannoso. Rhot aveva esagerato con quelle parole e sapeva di averlo ferito,
glielo leggeva negli occhi.
“Già io sono solo il fornaio per cui
lavori, non sono nessuno.” Si voltò verso la porta del retrobottega del suo
negozio.
Rhot sollevò una mano per toccargli la
schiena. “Chesar, scusami…”
Il fornaio giro appena la testa sopra la
spalla e abbozzò un sorriso pieno di tristezza. “C’è la guerra Rhot ricordalo,
io non sono tuo padre è vero, ma ti voglio bene come un figlio. Io mi preoccupo
per te da quando eri in fasce, sei
vivace e curioso e questo ti caccia spesso nei guai, lo so sei giovane e devi
sperimentare, ma devi pensare anche alle tue sorelle, sono più grandi di te ma
hanno pur sempre bisogno di qualcuno che le aiuti a curare la casa e il terreno
e che le difenda. Se la sono sempre cavata da sole ma adesso devi stare loro
accanto.”
“Perché parlate sempre della guerra,
hanno detto che non arriverà mai a sud”
Guardando Rhot pronunciare quelle parole Chesar rivide in lui il bambino che
aveva visto crescere, gli appoggiò una mano sulla spalla e sorrise “Le tue
sorelle hanno bisogno di te, vai a casa”.
Il fornaio rientrò nel negozio
richiudendosi la porta alle spalle.
“Era Rhot?” al bancone c’era la moglie
di Chesar .Cecilie era una donna minuta di straordinaria bellezza e dolcezza,
era incredibile la diversità che correva tra i due coniugi ma tale differenza
li aveva resi una coppia incredibile.
“Si era lui”rispose cupo, Chesar si
stava strofinando le mani sul grembiule, era un gesto di nervosismo e la moglie
lo sapeva bene.
“Non pensate sia ora di parlare con lui
di certi fatti? Tu e le sue sorelle non potete tenere il segreto ancora a
lungo! Come se non bastasse pare che siano arrivati i Maghi Supremi in città,
sai benissimo che questa storia non può andare avanti ancora a lungo” Non aveva
mai avuto il coraggio di manifestare così apertamente le sue idee al marito e
ora era molto preoccupata per la reazione che poteva avere.
“Draghi e Tigri” Scosse la testa,
battendo i pugni sul tavolo alzò una gran nuvola di farina “La questione doveva
rimanere morta e sepolta”
Cecilie guardò con dolce compassione il
marito trascinare il suo peso al piano superiore. Sospirò, quello non era più
l’uomo che aveva sposato, suo marito se n’era andato il giorno in cui era
arrivato Rhot e forse non l’avrebbe più rivisto.
La luce si
rifletteva sulla superfice del piccolo lago posto a confine tra la casa di Rhot
e i vasti possedimenti di Chordon. A sud si trovava la foresta magica, luogo
inviolabile dagli esseri umani, e casa delle piú incredibili creature. Tutto
intorno al lago la vegetazione era rigogliosa con enormi alberi secolari e fiori
di ogni tipo, si raccontava che il meraviglioso paesaggio ai margini del lago,
fosse opera degli incantesimi delle fate
dei fiori e che al crepuscolo fosse possibile ammirarle curare ogni angolo di
quel'incantevole giardino. Fin da quando era un bambino era il posto che Rhot
preferiva. Proprio lì aveva conosciuto Lussilla quando ancora erano molto
piccoli. La campagna, specie d'estate, era meravigliosa e Rhot ne restava ogni
volta incantato.
"Non
dovresti far preoccupare le tue sorelle in questo modo, loro ti vogliono molto
bene!" Un lungo silenzio rese l'aria pesante, Rhot si prese del tempo per
annusare il dolce profumo di gelsomino che giungeva alle sue spalle. Non ebbe
nemmeno bisogno di voltarsi. "Lussilla non dovresti essere qui. E in
quanto alle mie sorelle so che mi adorano ed è proprio per questo che sto
ritardando il rientro a casa. Ogni volta che mi sgridano leggo la delusione nei
loro occhi. Ecco cosa sono, una continua delusione!"
Una leggera
brezza e un delicato profumo di bucato investono il viso del ragazzo, chiuse
gli occhi e assaporò quell'attimo. Lussilla con estrema grazia si sedette
accanto a lui appoggiando la testa sulla sua spalla. Solo allora Rhot socchiuse
gli occhi e la guardò, Lussilla era così bella.
La loro amicizia
durava ormai da anni, le sorelle di Rhot lavoravano come cuoche e domestiche
nella villa del padre della ragazza.
"Ti ricordi
quando ci siamo conosciuti?"
Lussilla
sorrise, sollevò lo sguardo e guardò l'amico.
"Certo,
come potrei dimenticarlo, ti ho salvato la vita e da allora mi sei debitore.
Ricordi, l'hai giurato!"
"Avevi un
bel vestitino bianco e profumava di gelsomino proprio come oggi."
"E tu ti
eri arrampicato su questo salice e non riuscivo piú a scendere." Lussilla
rise, Rhot la guardò con dolcezza.
"Non l'hai
mai raccontato a nessuno vero?" Rhot cercò di assumere un'espressione di
rimprovero ma un ampio sorriso gli illuminò il volto.
"Nemmeno
Kaio lo sa. Il tuo onore è salvo."
"Lussilla ora è meglio che tu vada
o tuo padre ti sgriderà."
La ragazza si alzò, tolse alcuni fili
d'erba che erano rimasti impigliati nel ricamo della gonna, e rimase in
silenzio alcuni istanti a guardare l'orizzonte. Oltre il lago si stagliava
l'oscuro intreccio della magica foresta di Naskarat, non si riusciva ad
intravedere molto, le ninfe avevano innalzato una fitta cortina per proteggere
il loro mondo da occhi indiscreti. Gli occhi di Lussilla si velarono di
tristezza.
"Dicono che la foresta si stia
spostando." Rhot alzò lo sguardo verso l'amica ma non disse nulla.
"La notte gli alberi gemono, e ascoltando con attenzione si possono
sentire i canti delle streghe arrivare fin qui. Pare che il Re delle creature
magiche stia cercando il modo per salvare la foresta dall'arrivo della
guerra."
"Sei venuta di nuovo qui di notte?
Non vorrai anche tu..."
Rhot fece morire la frase a metà non
trovando il coraggio di continuare.
"Puoi dirlo, non ti preoccupare.
Comunque la risposta è no, non voglio finire come mio fratello. Questo però non
vuol dire che smetteró di aspettarlo qui dove l'ho visto sparire."
Tre anni prima Lussilla stava cavalcando
con il fratello maggiore vicino al lago. Si erano fermati giusto il tempo per
far riposare i cavalli quando una creatura magica aveva attraversato il lago a
pelo dell'acqua[...]. Nessuno in seguito credette al racconto di Lussilla, ma
lei era convinta che un giorno il fratello sarebbe tornato.
"Pensi veramente che tornerà?"
chiese Rhot con un filo di voce.
"Certo!" gli occhi della
fanciulla si fecero piú dolci e si riempirono di lacrime. "Nemmeno tu mi
credi."
Rhot arrossì violentemente, si alzò di
scatto, si avvicinò a lei e appoggiando le mani sulle sue spalle l'attirò con
delicatezza a lui.
"Crederó a tutto quello in cui
credi tu e se vorrai starò qui con te ad aspettare."
Lussilla sfioró la mano del ragazzo con
la guancia e una lacrima scese a rigarle il viso.
"Anche in un momento come questo
non hai pensieri che per i tuoi fiori?" Sara aveva un'espressione dura in
viso mentre Siria sembrava spazientita dalla noncuranza che dimostrava Alita.
Se uno sconosciuto fosse passato in quel
momento sarebbe rimasto sbalordito dal quadro che gli si offriva. Le tre
sorelle di Rhot erano, oltre che di una bellezza straordinaria, assolutamente
identiche. A volte anche Rhot aveva difficoltà a distinguerle non fosse stato
per il loro carattere e modo di porsi. Erano estremamente alte e magre, i
capelli biondi tanto chiari da sembrare bianchi scendevano oltre le scapole.
Era usanza del luogo che le donne, non ancora sposate, portassero i capelli raccolti in lunghe
treccie e legati con nastri colorati. Da parte loro le tre sorelle non avevano
mai dato importanza a tale uso e i loro lughi capelli, liberi di svolazzare al
vento, avevano creato non poche
polemiche e alimentato altrettante chiacchiere. Le tre ragazze comunque
non si erano mai curate di certe dicerie. I loro visi erano perfetti, con
lineamenti nobili e fieri. Gli occhi di un'intenso turchese avevano fatto
girare la testa a molti giovani del luogo. Le lusinghe non le avevano mai
minimamente scalfite, sembravano estranee ad ogni avvenimento che si svolgeva
attorno a loro, come se la vita che correva frenetica attorno a loro non le
riguardasse.
"Penso sia il caso di
riunirci." Intervenne Siria raccogliendo da terra il cesto che la sorella
aveva riempito di tulipani.
"E subito! Non c'è tempo da
perdere." Volle sottolineare Sara.
Alita con tutta calma, senza alzare mai
lo sguardo, continuó a strappare erbacce dal terreno. Si rivolse alle sorelle
con tono pacato e fermo. "Tu pensi... E lo dovremmo fare subito. Da quando
queste decisioni spettano a voi?" Il tono ora era diventato freddo, Sara e
Siria si resero conto di aver parlato a sproposito.
"Non volevamo mancarti di rispetto,
ma Rhot manca ormai da piú di due giorni e nessuno ha saputo darci
notizie!" Siria pronunciò tutta la frase d'un fiato e con un filo di voce,
se non avesse fatto così non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgersi alla
sorella in quel modo. A quel punto Alita si alzò da terra e guardò le sorelle
che a loro volta arretrarono di un passo.
"Ma io so dov'è." Disse
infine. Le sorelle guardarono Alita perplesse.
"Se è una riunione che volete
entriamo in casa, Rhot sarà qui a momenti."
Da dietro un albero il ragazzo cercò di
carpire qualche frammento del discorso delle sorelle ma era troppo lontano e il
rumore del torrente che scorreva vicino alla loro casa era troppo forte. Quello
che riuscì però a vedere fu i loro sguardi seri, intuí che stavano parlando di
lui e ovviamente non ne fu felice.
"Staranno decidendo che punizione
darmi.